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Yilmaz Güney: storia di un regista curdo.

 

“Se è vero, come dicono, che il popolo curdo non esiste, allora perché a casa mia sin da piccolo si parlava il curdo?”

Il padre di origine Zaza era di Siverek mentre la madre era nata a Varto, Yilmaz Güney, all’anagrafe Yilmaz Pütün, nacque l’1 aprile del 1937 a Yenice, villaggio nei pressi di Adana, città nota per l’omonimo massacro di oltre 200.000 armeni nel 1909. Il giovane Yilmaz crebbe così immerso nella classe operaia e contadina della prima metà del secolo scorso. Nonostante la situazione familiare, riuscì a frequentare Giurisprudenza ed Economia ad Ankara e a Istanbul, per poi laurearsi in Scienza politiche.

La passione per il cinema nacque quando in bicicletta iniziò a portare le “pizze” delle pellicole da un villaggio all’altro.

Quindi il proiezionista, come il piccolo Salvo di Tornatore. L’amore per i film lo condusse infine a Istanbul, dove lavorò come comparsa. Proprio in quel periodo Yilmaz decise di adottare lo pseudonimo di Güney (che vuol dire Sud) per omaggiare la sua gente del suo villaggio. Il suo primo ruolo da protagonista arriva con Il daino del 1959 di Atıf Yılmaz. L’interpretazione gli valse l’elogio della critica, ma la sua ascesa verso la celebrità fu interrotta da diversi guai giudiziari.

La sua unica colpa era stata quella di aver scritto su una rivista letteraria la seguente frase: “Se tutti fossero uguali il mondo sarebbe un paradiso”.

Era comunista e sapeva bene a cosa sarebbe andato incontro. Uscito dal carcere ricominciò col cinema e le cose andarono meglio. Nel giro di pochi anni divenne l’attore più popolare del cinema turco, girando fino a quindici pellicole all’anno. Yilmaz interpretava spesso il ruolo di ribelle, perseguitato dal sistema, un fuorilegge che si batteva per una giusta causa. Una sorta di Robin Hood del cinema turco. Il 1966 è l’anno di uno dei suoi film più noti: La legge del confine diretto da Ömer Lütfi Akad, ma scritto da Güney. La pellicola è stata recentemente restaurata grazie al sostegno di Martin Scorsese e distribuita col titolo The law of the border. Seguiranno Il bandito gentile sempre nel 1966 e da lui diretto, Il sangue scorrerà come acqua del 1969 di Mehmet Aslan e La speranza (Umut), del 1970 considerato dalla critica il suo punto di svolta. Una pellicola che venne paragonata al nostrano Ladri di biciclette. Il suo cinema si fa più diretto, fermo nelle sue posizioni, Güney finirà di nuovo in carcere.

Per lui verrà istituito un comitato internazionale presieduto da Jean-Paul Sartre, appoggiato anche da star di Hollywood come Elisabeth Taylor e Richard Burton.

Tramite veri e propri “pizzini” a guardie compiacenti, riescirà a inviare le sceneggiature ad amici registi. Con questo espediente realizzerà numerosi film da dietro le sbarre. Tra queste pellicole c’è Il gregge del 1978 diretto dall’amico Zeki Ökten, che il Mereghetti definisce così: “Pessimista e disperato, il film trova la sua forza e la sua originalità nella capacità di intrecciare i vari generi che lo compongono (il melodramma, l’avventura pseudo-western, il pamphlet sociale) per offrire una riflessione lucida e disincantata sul vicolo cieco in cui sembra entrato lo sviluppo della Turchia”.

Quindi arriva il momento del celebre Yol co-diretto con Şerif Gören (sempre grazie al metodo dei pizzini). La storia è ambientata nel 1981, nel carcere di Imrali, nell’isola dell’Egeo. Cinque detenuti ottengono una settimana di licenza. Ognuno segue la sua strada (Yol in turco significa strada) per raggiungere la propria famiglia. “ho cercato di spiegare la tristezza, l’amore e l’amarezza” dice Yilmaz nell’incipit della pellicola. Un anno prima , dopo anni di reclusione, Yilmaz Güney, era riuscito ad evadere dal carcere e rifugiatosi all’estero, riuscendo finalmente a montare il suo capolavoro. Yol fu la sua definitiva consacrazione.

Il film nel 1982 vinse la Palma d’Oro (ex aequo con Costa-Gavras). Yilmaz morirà il 9 settembre di due anni dopo per un male incurabile.

Mentre era ancora in carcere Wim Wenders aveva girato Chambre 666, un corto in cui quattordici registi, da Godard ad Antonioni, parlavano del destino del cinema. Il contributo di Yilmaz Güney sarà solo la sua voce che dice:

“Ci sono germi di un cinema giovane che le forze dominanti reprimono e vogliono ridurre al silenzio per mezzo di misure penali, punendoli per il solo fatto di esistere”.

Yilmaz è stato tra i primi registi e scrittori a porre l’attenzione sul problema curdo che mai come oggi necessita di tutta la nostra solidarietà e del nostro sostegno.