Un film horror thriller, puntellato di goffaggine, sul mondo dell’arte contemporanea che si vive a Los Angeles, capitale mondiale del cinema ma anche delle arti visive dei giorni nostri.
Un mondo, quello dell’arte, rappresentato magistralmente nella sua bizzarria, incomprensione, balzana ed eccentrica capricciosità, ma anche nella sua radicata ipocrisia e superficialità dove il potere dei critici d’arte è disegnato come quello del fato che dà o toglie gloria terrena agli artisti e alle gallerie d’arte.
Nel film Velvet Buzzsaw, diretto da Dan Gilroy di Nightcrawler (2014), la storia vede protagonista Morf Vandewalt (Jake Gyllenhaal), temutissimo critico d’arte, che con le sue recensioni positive può lanciare talenti come brocchi sconosciuti nell’olimpo del mercato internazionale al quale ambiscono gli artisti, ma soprattutto i mercanti d’arte tra i quali a L.A. c’è una competizione selvaggia e senza esclusione di colpo alcuno.
La svolta del film, da una narrazione prevedibile ad una goffamente horror/thriller, inizia quando a Morf vengono presentati dall’amica e segretamente amante Josephine (Zawe Ashton), assistente della spietata gallerista Rhodora Haze (Rene Russo), i centinaia di dipinti inquietanti e metamorfici sottratti al vicino di casa trovato improvvisamente morto tra le scale della sua palazzina.
Il defunto è uno sconosciuto del quale i protagonisti cercano di ricostruirne la storia artistica.
Un pittore che aveva lasciato un testamento verbale: bruciare tutte le opere dopo la sua morte!
Ma che senso ha l’arte se nessuno la può vedere?
Che senso hanno le opere se non possono essere vendute?
Sembrano queste le domande che pone il film allo spettatore dal momento della scoperta dell’immenso tesoro artistico di Dease sul quale si innesca una guerra mortifera per appropriarsene, e che genererà nel film l’inevitabile frutto della cupidigia umana…
Forse a queste domande avrebbe potuto rispondere il nostro grande Gino de Dominicis:
«Le arti visive, la pittura, la scultura, l’architettura, sono linguaggi immobili, muti e materiali. … L’arte visiva è vivente… Per cui paradossalmente non avrebbe bisogno neanche di essere vista.»
Ma questa è un’altra storia e non appartiene a questa narrazione.