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Unsane – Tutta la tua vita in un iPhone

Nel bel mezzo del nuovo film di Steven Soderbergh, appare un sedicente detective Ferguson (Matt Damon). L’uomo spiega alla protagonista della storia, Sawyer Valentini (Claire Foy) come proteggersi dal suo stalker. Tante piccole accortezze. Dove parcheggiare, che vie di fuga usare, come e quanto parlare con gli amici, che libri leggere, ma soprattutto niente internet, no social media, zero facebook, twitter, instagram, e basta con smartphone e tablet. La salvezza per la bella e turbata Sawyer è la vita reale e non quella virtuale. Niente cellulari insomma! Se possiamo ancora chiamarli così visto che tra un po’ ci faranno anche la spesa (ah no, quello già lo fanno!).

Ebbene al centro della pellicola c’è proprio lui, un telefonino (ed è subito nostalgia ’90). Il nuovo film del geniaccio autore di Atlanta (la serie Ocean’s, il Che, quella di Magic Mike e tante altre pellicole) pone al centro della questione proprio questo infernale oggetto. Quindi la distinzione tra realtà e finzione.

 

Sawyer lo usa per mentire alla madre dicendole che si trova bene con il nuovo capo. Non l’avverte invece che è scappata da Boston per fuggire da uno stalker ossessionato da lei. Quindi la donna chiede aiuto presso un istituto che offre assistenza psicoterapeutica. Qui inizia il suo inferno. Sfruttando un bug del sistema sanitario (e qui Soderbergh ritorna sui temi del precedente Effetti Collaterali), Sawyer viene ricoverata contro la sua volontà. Si ritrova così a passare sette giorni con una serie di personaggi un po’ inquietanti. La giovane passiva/aggressiva Violet (Juno Temple) ad esempio. Ma soprattutto Sawyer scoprirà che il suo stalker di Boston si è fatto assumere proprio in quella clinica. Un incubo insomma.

Le viene tolto il cellulare, che torna ad essere essenziale nella narrazione. Per una buona metà del film il regista, grazie alla sceneggiatura firmata da Jonathan Bernstein e James Greer, ci fa vivere nel dubbio, nel precario equilibrio tra finzione e realtà. La donna è realmente e socialmente pericolosa o si tratta di un sopruso sanitario? A dirci come stanno le cose di nuovo uno smartphone e una fotografia. Ma non spoileriamo oltremodo.

Però è giusto fare alcune considerazioni. Che gli autori abbiano giocato sul ruolo dei social media sembra evidente. Per coronare il tutto Soderbergh che fa? Gira il film con tre iPhone, modello 7 Plus, integrati con FiLMiC Pro, una app per gestire esposizione e messa a fuoco.

Non è la prima volta che succede, solo di recente abbiamo visto Tangerine e The Florida Project di Sean Baker o Rides di Matthew Cherry e in precedenza Searching for Sugar Man del compianto Malik Bendjelloul.

Ma (e qui ritorna il discorso tra finzione e realtà) a dispetto della sua fisicità (un nerd occhialuto) e della sua timidezza, Soderbergh è un regista pieno di sé. Unsane è infatti un film muscolare (a suo modo) nella misura in cui il regista si diverte mostrare la sua grandeur e ad invadere con il suo stile la pellicola. C’è un’espressione che chiarisce molto il concetto: “ti si vede la sottana sotto la gonna”. In Unsane il regista è fin troppo presente, tra inquadrature plongée, punti di fuga estremi, filtri e improvvise virate cromatiche (Steven, come spesso accade è anche direttore della fotografia), che un po’ distraggono lo spettatore. Ma si sa, chi ama Soderbergh lo fa anche per questo!

Ottime le interpretazioni ovviamente in primis della splendida Claire Foy (la serie Netflix The Crown e First Man di Chazelle). Ma occhio anche a Joshua Leonard, che circa 20 anni fa, aveva esordito in The Blair Witch Project, un film che per il modo in cui giocava con l’uso della telecamera, ricorda metacinematograficamente Unsane.

Tirando le somme un thriller (vagamente horror) veramente ottimo anche se un po’ furbetto. Pellicola che conferma le due anime di Soderbergh quella hollywoodiana e quella che odia l’anima hollywoodiana. Noi le amiamo entrambe, ma non chiedeteci di scegliere tra Traffic e L’Inglese