Tutti vogliono qualcosa è l’ultima opera di Richard Linklater, noto ai più per il macina-premi Boyhood, di cui è quasi un seguito non ufficiale.
Sulle prime una commedia studentesca à la Animal House, presto ci rendiamo conto della caratura ben più matura: quasi una ridondanza di malinconia per i bei tempi andati e la l’ineluttabilità del tempo che passa, con la percezione di come la vita sia fatta di piccole cose che mano a mano ti formano.
Qualcuno potrebbe mal digerire Tutti vogliono qualcosa, finendo presto per chiedersi: ma in questo film non succede nulla? Niente di più sbagliato.
La crescita di Jake, matricola del college e nuovo arrivato nella squadra di baseball, avviene tra una birra e un salto in discoteca, tra un’azzuffata e l’ennesimo scherzo tra i suoi compagni. Nel mentre, Jake matura, conosce l’amicizia, cosa è una squadra, e l’amore.

E non serve esser vissuti negli ’80 -praticamente i ’70 a livello stilistico, essendo il 1980- o esser Americani per apprezzare ogni singola sfumatura, dal dialogo veramente stupido a quello che stupido è solo in superfice, ritrovando nello sgangherato gruppo qualcosa delle nostre, di vite: chi non ha mai avuto un amico fuori di testa? O quello malato per le donne? O il capo-branco; non siamo forse tutti stati almeno una volta Bufalo nella vita?
Ecco quindi il maggior pregio della regia di Linklater: girare film che parlano della vita, del tempo che scorre, argomenti che non possono non toccarci. Non bastasse questo, Tutti vogliono qualcosa è un perfetto mix di costumi, colonna sonora, scene che non lo fanno minimamente sfigurare vicino a un cult qualsiasi girato ai tempi.