Ricky Gervais è uno dei comici di lingua inglese più apprezzati al mondo, grazie al suo essere “politically uncorrect”, al suo umorismo talvolta spiazzante, che può anche raggiungere l’etichetta “di cattivo gusto”, per qualcuno, come nel caso del suo pezzo sulla barzelletta più cattiva di sempre, che scherza sulla pedofilia, tema estremamente delicato, ma che riesce comunque a far ridere. Perché questa è la forza di Gervais, come anche di molti suoi colleghi anglofoni, come Luis C.K. o il compianto George Carlin. La sua esplosiva carriera nel mondo dello spettacolo ha avuto la spinta decisiva nel 2001, quando, insieme al suo amico e collaboratore fidato Steve Merchant, ha scritto ed interpretato una delle migliori serie tv comedy di sempre, The Office.
La serie si sviluppa in due sole stagioni, per un totale di 14 episodi, e racconta le vicissitudini di una filiale di un’impresa cartaria e dei suoi lavoratori, capeggiati dal bizzarro David Brent, interpretato dallo stesso Gervais, che fa di tutto per tenere alto il morale degli impiegati, facendo sfoggio di quella che ritiene essere una fenomenale vena comica, risultando, però, imbarazzante, invasivo e molto spesso fuori luogo, tanto da suscitare le antipatie di quasi la totalità dei suoi sottoposti. Numerosi i personaggi, i cui rapporti sono in costante evoluzione e che sono tutti molto ben approfonditi psicologicamente, mostrando così le eccellenti qualità autoriali del duo Gervais-Merchant. Tra i personaggi più importanti abbiamo Gareth Keenan (Mackenzie Crook), un viscido uomo magrolino e pallido, assistente di Brent, che, nonostante le sue scarse qualità estetiche, crede di essere un macho, venendo puntualmente rifiutato da qualunque donna provi ad abbordare; Tim Canterbury (Martin Freeman) è il responsabile delle vendite, modesto ma insoddisfatto del proprio lavoro e della propria vita, della quale, comunque, parla sempre con il sorriso sulle labbra, rendendolo il personaggio più positivo della serie e uno di quelli che suscitano la maggior simpatia nello spettatore; Tim ha un rapporto speciale con Dawn Tinsley (Lucy Davis), la receptionist annoiata che detesta visceralmente il personaggio di Gervais, il quale la assilla con i suoi costanti tentativi di “fare il simpatico”, e che è fidanzata con il rozzo facchino Lee, nonostante che abbia una cotta per Tim, con il quale, per spezzare la monotonia delle giornate lavorative, si prodiga in scherzi ai danni dell’antipatico Gareth. The Office è un ecosistema dalla ricca fauna molto ben approfondita e descritta, senza mai tralasciare l’approfondimento psicologico di nessuno, nemmeno delle comparse.

Molto interessante è l’estetica della serie, che si presenta come un mockumentary dalla fotografia piatta e noiosa, con colori poco saturi, spenti, perfetto specchio dell’atmosfera che si respira tra le mura dell’ufficio. La regia, affidata esclusivamente a delle traballanti camere a spalla, immerge perfettamente lo spettatore nell’ambiente messo in scena, anche grazie ai frequenti sguardi in macchina degli attori, che non risultano affatto sgradevoli, a differenza di quanto spesso accade, ma aiutano lo spettatore ad entrare in quell’ufficio, rendendolo parte integrante dello staff. Ed ecco che, come i nostri “colleghi” che animano l’ufficio, sviluppiamo le nostre antipatie e simpatie nei confronti dei vari personaggi con il passare degli episodi, ci sentiamo in imbarazzo di fronte all’umorismo di David Brent e ridiamo pur essendo perfettamente consapevoli dello squallore delle sue battute e dei suoi scherzi. Ridiamo anche se non dovremmo. E ci chiediamo il perché: perché ridiamo? Perché, pur essendo noi stessi in imbarazzo, non possiamo fare a meno di ridere? Perché Gervais e Marchant hanno svolto un perfetto lavoro in fase di scrittura, rendendo l’imbarazzo che regna sovrano in The Office una valvola di sfogo per lo spettatore, un mezzo per esorcizzare le nostre tensioni, le nostre delusioni e la nostra frustrazione. In un certo senso, questo The Office richiama un po’, o, meglio, anticipa, Il grande capo di Von Trier, grazie alla sua feroce critica al mondo del lavoro nascosta dietro una comicità molto quotidiana, a tratti surreale. David Brent, un capo incompetente e vigliacco, che spesso gioca a fare lo scaricabarile e che cerca costantemente di attirare le simpatie dei suoi sottoposti, è molto simile alla figura di Ravn del film vontrieriano, entrambi distorcono spesso e volentieri la realtà solo per essere apprezzati dagli impiegati.
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