Home Serie tv The Eddy: la jazz-serie Netflix firmata da Damien Chazelle

The Eddy: la jazz-serie Netflix firmata da Damien Chazelle

The Eddy inizia con un piano sequenza magistrale di 4 minuti tondi, niente di scorsesiano (la celebre entrata di Ray Liotta e Lorraine Bracco nel locale dei Goodfellas), piuttosto qualcosa di più sporco. No steady ma una handheld shot in stile Greengrass e panoramiche a schiaffo da far venire il mal di mare, ma che si sposano meravigliosamente con il primo di tante fantasie jazz di questa miniserie. Così Damien Chazelle introduce quasi tutti i personaggi, la musica e il locale dove si svolge la storia.

The Eddy nasce da una promessa fatta da quattro amici tra i quali Damien Chazelle, prima che diventasse famoso con Whiplash e La La Land.

La storia è quella di un jazz club parigino aperto da un ex pianista e talento della Blue Note, Elliot Udo interpretato da André Holland, noto per Moonlight e la serie The Knick di Steven Soderbergh. Al suo fianco lo storico amico e musicista Farid (Tahar Rahim, indimenticabile ne Il Profeta di Jacques Audiard). Elliot deve vedersela con gli affari non proprio legali del suo socio, una figlia capricciosa e sensibile e una relazione con la cantante della band Maja, interpretata da Joanna Kulig, che ritroviamo dopo il successo di Cold War.

Per Chazelle è come rimanere nella sua comfort zone, dopo le sue prove precedenti. Il regista, ex musicista e grande appassionato di jazz, dirige i primi due episodi (e si vede) e produce l’intera serie. Tra gli artefici di The Eddy anche l’ideatore Jack Thorne e l’autore delle musiche Glen Ballard, figura chiave del pop contemporaneo e produttore di artisti come Michael Jackson, Alanis Morissette, Annie Lennox e tanti altri. Tra gli altri registi Houda Benyamina (Divines), Laïla Marrakchi (Marock) e Alan Poul (Six Feet Under).

Il risultato è un affresco potente e corale, per certi versi altmaniano. Un prodotto che non asseconda mai l’oppiacea attitudine dello spettatore medio al bingewatching.

Anzi The Eddy è molto poco “agreable” per un occhio (e anche per un orecchio) distratto. Anche se talvolta manca di strutture coesive e alcuni spunti narrativi rimangono slegati o poco esplorati, il risultato finale è certamente ottimo, soprattutto per la capacità di ricreare le atmosfere fumose del jazz club e le spinte emozionali dei suoi protagonisti.

Impossibile da vedere doppiato per i continui passaggi tra francese, arabo e inglese e per l’impasto sonoro tra l’ambientale, la recitazione e le note musicali.

Operazione raffinata più adatta agli amanti del “cinéma d’auteur” che ai divoratori compulsivi di serie tv.