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Rifkin’s Festival – La Recensione

 

– Non morirebbe per amore?

– Francamente preferirei non morire per niente. E questo include malattia, vecchiaia, o soffocare con un bagel.

Mort Rifkin (interpretato da uno splendido Wallace Shawn) è un docente di storia del cinema con vaghe ambizioni letterarie che si reca, insieme alla moglie Sue (Gina Gershon), in Spagna per partecipare al Festival internazionale del cinema di San Sebastián. Qui però la coppia si lascia travolgere dagli eventi e dalle passioni. Sue viene rapita dalle avances da un giovane e promettente Philippe, regista hipster francese interpretato da Louis Garrel (curiosamente col nome del padre e maestro Philippe Garrel). Mort (convinto di avere un infarto per poi scoprire la bellezza della parola “reflusso”) rimane folgorato dalla bella dottoressa locale Jo (Elena Anaya).

L’ingenuità sentimentale ed emotiva di Mort diventa presto contagiosa e al suo personaggio ci si affeziona da subito.

Ennesimo alter ego finzionale dell’universo alleniano, quello interpretato da Shawn ricalca tutti grandi ed illustri precedenti della sua filmografia.

Mort ha le ipocondrie di Mickey Sachs , l’entusiasmo sentimentale di Alvy Singer, le idiosincrasie di Val Waxman. Interpretati da Woody o meno i suoi personaggi sono comunque Woody, nella loro incapacità di stare al mondo, ma anche di vivere con la paura che quel mondo possa spegnersi da un giorno all’altro. E in questo Wallace Shawn (che ha esordito come attore nel ’79 proprio in Manhattan) è stata la miglior scelta possibile per vestire gli abiti crepuscolari dell’autore Allen e quelli, ancora così divertenti, del comico Woody.

Rifkin’s Festival è dolce, approssimativo, poetico, senile, come sempre terapeutico per il regista newyorkese e “comfort movie” per i suoi fan.

Come altri suoi film, più di altri suoi film, è un compendio del cinema alleniano, dei suoi vezzi formali e degli amori del Woody cinefilo. Una carrellata di citazioni, l’amore incondizionato per il Cinema, che lo ha formato, che lo ha fatto diventare un autore, quello di Fellini, Bergman, Truffaut, Buñuel, Godard e Welles.

Memorabile il dialogo tutto bergmaniano con la Morte interpretata da Christoph Waltz, che vale da solo il prezzo del biglietto!

Sequenze storiche dei capolavori di questi grandi maestri, riprese calligraficamente da Allen e inserite nella pellicola per creare appunto il suo personale Mort Rifkin’s Festival. Cinema che si aggroviglia nel cinema per rendere omaggio al cinema anche quando si dimentica di fare cinema. La sceneggiatura è ancora piena zeppa di boutades esilaranti, nonostante Rifkin abbia poco da aggiungere alla filmografia del regista. Quanto all’aspetto squisitamente estetico rappresentato dalla quarta collaborazione col maestro Storaro, alcuni tagli sono semplicemente meravigliosi e colpisce questa alternanza tra toni freddi e caldi. Anche se a volte lo sfoggio sembra venire prima della necessità artistica.

Nonostante ciò’ e la costante sensazione di déjà vu (ma quella è iniziata nel 1999), c’è comunque tanto divertissement cinefilo (e non) e soprattutto la sensazione confortante di un anziano zio che vuole raccontarti ancora una volta quella vecchia storiella che tu conosci bene, ma che non puoi fare a meno di ascoltare.

Play it again, Woody!