Devilman crybaby, ultima opera anime di Netflix lascia decisamente combattuti: che siate o meno fan della vecchia guardia (il capolavoro di Go Nagai va per i 50 anni: non dimentichiamoci che dobbiamo a lui i robottoni, le tette e il sangue nei manga), è indubbio che crybaby lasci basiti, se non altro dal punto di vista tecnico.
In senso positivo, è apprezzabile lo stile drogato, psichedelico delle trasformazioni e delle animazioni, con i demoni che, oserei dire, violentano la forma umana di origine; colori acidi e ipercinetica danno una costante sensazione di velocità e ritmo frenetico agli eventi: a livello visivo è senz’altro una scelta personale e lontana da certe produzioni classiche.
Akira Fudo dopo aver accolto Amon
L’esplosività dell’azione è però accompagnata da un rovescio della medaglia non da poco: le animazioni, il tratto stesso dei disegni si mostrano non di rado di bassa qualità, abbozzati. Lo stesso protagonista Akira, prima di diventare suo malgrado Devilman, è in pratica uno scarabocchio.
Va detto a difesa della serie che potrebbe essere una scelta voluta, per dare priorità al dinamismo (come accadde con One-punch man), ma la sensazione di risparmio a tratti è inevitabile.
E’ invece apprezzabile il tentativo -dovuto- di aggiornare la storia contestualizzandola ai giorni nostri. Smartphone, social e…rap? (!). A tratti stona, ma gli anni passano e non si può vivere di pedissequi remake.
D’altronde, quello che resta davvero fedele all’originale è anche l’unica cosa che conta: la violenza estrema come rappresentazione nichilistica del mondo.
Già dal primo episodio in Devilman crybaby piove sangue (letteralmente), ma abbiate pazienza perchè
Non avete idea.