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Marriage Story – Storia di un matrimonio

Marriage Story

Charlie è un geniale regista di teatro d’avanguardia, Nicole sua moglie da dieci anni, è la sua musa e prima attrice della compagnia. I due vivono a New York ed hanno un figlio di otto anni. Quando ci vengono presentati, il rapporto si è già sfaldato, non sappiamo ancora come e perché ma qualcosa è venuto meno. Quando Nicole decide di tornare nella natia Los Angeles per accettare il ruolo in una serie tv, portandosi con se suo figlio sarà l’inizio della fine. Quella che era cominciata come una separazione consensuale più “indolore” possibile, piano piano si trasforma in un devastante gioco al massacro mediato da cinici avvocati.

Se nel Il calamaro e la balena Baumbach, rielaborava i ricordi di lui ragazzino nel raccontare la crisi di una coppia intellettuale di New York, in Marriage Story – Storia di un matrimonio, il regista attinge alla sua reale esperienza di uomo e padre divorziato per dare alla luce il suo film in assoluto più amaro e maturo. Messe infatti da parte le velleità hipster, Baumbach dirige la sua opera più lucida e cristallina, il definitivo salto di qualità, un capolavoro di scrittura pronto a sbaragliare (si spera) la concorrenza nell’imminente stagione dei premi a venire.

Marriage Story fin dall’incipit iniziale, segue un andamento ciclico: inizia dall’amore, dai ricordi, dai particolari che entrambi hanno amato e amano l’uno dell’altro, e finisce con l’amore. Un amore diverso sublimato, non più quello di coppia ma quello di due spiriti che nonostante tutto rimarranno legati per sempre.
In mezzo a questo lungo percorso circolare Baumbach è in grado di cogliere scientificamente la definizione di amore rappresentandone la sostanza, i gesti, le parole. Perché una storia d’amore non è fatta di botti continui ma piuttosto di ordinarietà, di dettagli e Baumbach ne coglie le sfumature senza mai scendere nel banale e nello stucchevole.

Marriage Story

L’approccio al film è scarno, pulito, essenziale, quasi da impostazione teatrale. Baumbach ha il totale controllo della pellicola, ne domina i tempi della commedia, tira il freno quando comincia a diventare troppo melodrammatico. Per questo quando si permette di accelerare in quelle due/tre scene madri, realizzate con eleganti piani sequenza, tocca picchi di emotività altissimi quasi devastanti.

Raramente come in questo caso gli attori rappresentano un valore così aggiunto per un film. La Johansson e Driver sono in stato di grazia, letteralmente mostruosi nei panni dei protagonisti. Il regista indugia molto in primi piani, un montaggio di facce, ora distese, ora nervose, ora tese, ora sollevate o incazzate. Espressioni che da sole valgono più di mille altri dialoghi.

Baumbach l’ha vissuto sulla propria pelle il divorzio, lo si vede e se ne percepisce la reale sofferenza. Uno degli elementi chiave del film è la presa di coscienza, la realizzazione, da parte di uno dei due protagonisti di essere giunti al capolinea della propria vita di coppia. Charlie, regista di teatro abituato ad avere tutto sotto controllo, rimarrà completamente spiazzato e spaesato dalle decisioni di Nicole. Solo grazie alla sua relazione con l’arte, in una scena fondamentale del film, arriverà ad elaborare la cosa rendendosi conto che nonostante tutto, nonostante il dolore, le urla, la rabbia, un cuore che batte è l’unica cosa che ci permette di essere vivi. Being Alive.

 

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Chief editor e Co-fondatore

Cresciuto a massicce dosi di cinema, fin da giovane età veniva costretto dal padre a maratone e maratone di Spaghetti-Western. Leggenda narra che la prima frase di senso compiuto che uscì dalla sua bocca fu: “Ehi, Biondo, lo sai di chi sei figlio tu? Sei figlio di una grandissima……” Con il passare del tempo si è evoluto a quello che è oggi: un cinefilo onnivoro appassionato di cinema in ogni sua forma che sia d’intrattenimento, d’autore o l’indie più estremo. Conteso da “Empire”, “The Hollywood Reporter”, “Rolling Stone”, ha scelto Jamovie perché, semplicemente, il migliore tra tutti.