E continuavano a stupire. Ormai parlare bene del cinema greco e dei prodotti che sforna non è quasi più una novità. E se da un lato la cosa comincia a diventare monotona e ordinaria, dall’altro questo segna invece un grandissimo interesse per le produzioni cinematografiche elleniche che se da un lato riflettono la crisi che il loro paese sta attraversando, dall’altro dimostrano a pieno che è proprio nei periodi di crisi più grande che fioriscono nuove idee e nuove opportunità.
L’ultimo esempio di un film greco ben riuscito è Luton, presentato al Festival di Torino del 2013 e diretto dal 37enne Michalis Konstantatos.
Una pellicola che strizza l’occhio ad un grande film di qualche anno fa, come tematica ed ambientazione, così come tipologia di inquadrature, quel “Funny Games” di Michael Haneke che non è proprio l’ultimo degli stupidi.
Il citazionismo si sa è una cosa da trattare sempre con delicatezza ma in questo caso Kostantatos c’è riuscito benissimo, tenendo da subito alto il livello di tensione nel suo film, che parte molto molto lento, scorre molto molto lento, ha una fortissima accelerata nel finale, proprio nell’ultima parte, ma che tiene lo spettatore, anche forse quello dalla palpebra più pesante, sempre incollato allo schermo dal minuto uno a quello numero 93.
Come sfondo abbiamo la Grecia, vista da tre punti di vista diversi, quelli dei suoi tre protagonisti principali, un negoziante sulla cinquantina, un giovane studente che del sorriso non fa certo la sua arma migliore, ed una giovane avvocatessa dai comportamenti intimi un po’ particolari, e con un modo di osservare le persone che le gravitano attorno alquanto invadente ma funzionale per il tema trattato nella pellicola. I tre, che rispondono rispettivamente ai nomi di Makis, Jimmy e Maria, sono tre persone come molte altre, tre persone che ad una festa molti non noterebbero, che svolgono tre vite ordinarie, e che non sono legati in nulla, o meglio, non lo sono durante il giorno, perchè effettivamente, i tre, un legame ce l’hanno. Ed il tutto è alquanto particolare.

Forse meno incentrato sulla caduta della famiglia come valore fondamentale della società greca rispetto a “Dogtooth” e “Miss Violence”, questo Luton resta però lo specchio di quello che è in questo momento la società greca.
Non c’è un’aspettativa per il futuro, per ogni fascia di età, la vita non viene vissuta ma osservata, dai tre protagonisti, non c’è nulla di particolare, in un paese senza molte speranze, con poche certezze e un futuro alquanto incerto. Solo una cosa forse è chiara : il risentimento, la frustrazione di un popolo, quella sensazione di “vaso che attende l’ultima goccia per traboccare”, e sfociare in un qualcosa di estremo ed alternativo, come lotta a questo impasse da cui la Grecia non riesce ad uscire.
Come coglie tutto questo il regista ? Semplice. Parte piano, molto piano, non ci sono dialoghi, solo musiche di sottofondo inizialmente, obiettivo che rimane fisso per la maggior parte delle scene, con gli attori in parte o totalmente fuori campo nel compiere le loro faccende, sguardi spenti, poco vivi, che non dicono nulla ma nascondono tanto, tutto, la storia completa del film. Che viene fuori oltre metà pellicola, che potrebbe sembrare a queste parole noioso e non per tutti ma che ha quell’atmosfera che comunica quel senso di “qui non va tutto bene, no no, c’è qualcosa che non va”.

E questo lo si vede già nelle espressioni dei personaggi e nei loro rapporti con gli altri : i “regali” di compleanno di Makis, il rapporto di Jimmy con i suoi genitori, le strane voglie di Maria.
C’è eccome qualcosa che non va, un qualcosa che sta per succedere. E succede. In pochi minuti, la fiammata finale ad una bombola che per più di 50 minuti si carica al massimo e porta sempre più su la pressione, e poi va….
E questo andare ci spiazza, perchè la sensazione del qualcosa che non ci piace c’è, ma quello che poi sarà non è pronosticabile, è inaspettato.
La routine che diventa imprevedibile, l’ordinario che spaventa, la calma che fa paura.
Questo è Luton, il male di vivere che cova dentro, che non fa distinzioni di età, di sesso e di classe sociale, e che se esce fa paura. Specialmente in un paese dove questo malessere, colpisce sempre più persone.
Bravi gli attori, bravo il regista, bellissime alcune scene (quella dell’ospedale e delle brioches su tutte). Un film che parte piano, ti sveglia, ti spiazza, e poi ti lascia in un senso di inquietudine non indifferente.
Di problemi ne avranno tanti questi greci, ma per quanto riguarda il cinema la crisi non li tocca. Continuate così per favore.
PS : film non uscito in Italia, ma che secondo me vale la pena di cercare ovunque sia possibile anche sottotitolato.