Nell’immaginario di coloro che al giorno d’oggi, anno 2015, hanno un’età compresa tra i 45 ed i 60 anni, c’è una frase, un detto, una credenza, che risuona all’interno della scatola cranica : i comunisti mangiano i bambini. Vero? Falso? Leggenda? Chi lo sa. Ma una cosa la sappiamo veramente. Negli anni 80, a Rostov, in quella che allora, anche se ancora per poco, si chiamava Unione Sovietica, c’era un uomo, un professore di lettere, un uomo dall’aspetto tranquillo, un po’ goffo ed impacciato, una persona qualunque, a tratti insignificante, che ha per molti anni terrorizzato la terra che fu del baffo Stalin più dei nazisti, più degli americani, più di ogni altro “nemico del regime” : Andrej Romanovic Cikathilo. Quest uomo, durante gli anni 80’, si è reso protagonista dell’uccisione di più di una cinquantina (53 per l’esattezza) tra donne, adolescenti, bambini, bambine.
Li ha torturati, violentati, uccisi, seviziati, e forse…..anche mangiati. Allora i comunisti mangiavano veramente i bambini?!
E’ stato soprannominato “Il mostro di Rostov”, “Il Cittadino X”, “Lo squartatore rosso”. E su di lui, sulla sua storia, sulla sua persona,sui suoi delitti, Davide Grieco, ha deciso di scrivere prima un libro, “il comunista che mangiava i bambini” appunto, e poi di girare, nel 204, un film ispirato a Cikathilo stesso, “Evilenko”.
La pellicola, seppur in maniera romanzata, passa in rassegna gli ultimi anni delle atroci e macabre azioni di Andrej Romanovic Evilenko, splendidamente interpretato da un Malcom McDowell che nonostante l’ombra sempre presente di “Arancia Meccanica” e il passare degli anni, ci regala ancora una prova che sfiora quasi la perfezione.
L’uomo, è un insegnante di lettere, un comunista convinto, sposato, ma senza figli, sembra avere una predilizione un po’ troppo particolare per i bambini, come possiamo vedere già dalle prime scene del film, in cui si “intrattiene” con una sua piccola alunna, rea secondo lui di aver dimostrato “troppo affetto” ad un suo compagno di classe durante l’ora di lezione. Evilenko si machierà di crimini indicibili contro povere creature indifese, e sulle sue tracce si metterà il magistrato Vadim Timurovic Lesiev (Marton Csokas, altra interpretazione di livello e per questo da segnalare).
Ma non sarà una cosa facile, perchè siamo alla fine degli anni 80’, e in quel periodo , se si era in Unione Sovietica, le cose non andavano affatto bene. Stava crollando un regime, stava finendo un’epoca storica durata per decenni, stava per crollare un muro, stava per chiudersi un epoca, un epoca che aveva fatto milioni e milioni di morti, prigionieri di guerra, che aveva indirizzato le menti verso un tipo di pensiero, quello dell’uguaglianza, quello del silenzio , quello della lotta agli oppositori, alle spie, quello che pensava che al mondo, di cattivo ci fossero solo nazisti ed americani, e non serial killer. Non c’erano i serial killer in unione Sovietica, non potevano esistere, io meglio forse c’erano, ma era più importante catturare gli oppositori del regime. Quelli si che erano pericolosi. Quel sistema però stava per crollare in quegli anni, quelli in cui Evilenko mieteva le sue povere ed innocenti vittime.
La guida forte del regime, del partito unico stava crollando, non c’era più un punto di riferimento, nè per i nostalgici, nè per coloro che volevano un mondo differente, un mondo libero, un mondo dove anche i serial killer potessero essere ricercati, catturati, e puniti. Un mondo che non voleva più nascondere notizie del genere. Il magistrato Lesiev durante la pellicola si scontrerà con tutto questo, con la fine di un’era, e l’incerto avvio di un’altra. Il crollo di quel regime aveva creato due figure : da una parte quella del magistrato, che voleva la verità, la giustizia, che negli anni del regime erano sempre venute a mancare, dall’altra parte c’erano loro : i frustrati, gli “orfani del regime”, quei personaggi come Evilenko, che si erano visti portare via i loro padri nei campi di lavoro in Siberia da quel regime che poi loro stessi avrebbero sostituito come guida alla figura paterna che non avevano mai avuto. Ma ina condizione del genere c’è sempre un senso di rabbia, di odio, di frustrazione, una voglia di prendersela con qualcuno per la perdita subita da bambini. Ma queste persone no erano così forti da prendersela col regime, con i potenti, ed allora, quale bersaglio migliore dei più piccoli, degli indifesi, di coloro che invece, a differenza di personaggi come Evilenk/Cikathilo, avrebbero potuto avere un ‘infanzia ed un futuro migliore, con a fianco una mamma ed un papà. Ecco allora il perchè delle giovani vittime collezionate negli anni dal professor Evilenko, il professore di letteratura, che con la sua conoscenza ed il suo modo goffo di fare, poteva ttirare a prima vista le simpatie e lo sguardo dei più piccoli, ignari di diventare in un secondo momento le sue vittime.
Nella pellicola di Grieco possiamo vedere tutto questo, nonostante il film in sè per sè, non sia poi tutto questo bel prodotto.
Lo stile rasenta quello del documentario, non c’è una grande tensione narrativa durante l’avanzare dei minuti, e molto probabilmente, anche nelle scene più forti, (non c’è molto sangue ma l’idea di quello che sarebbe accaduto o che è accaduto è già abbastanza per spaventare chiunque), e se ci si appresta a vedere questo lungometraggio senza conoscere minimamente la storia del vero Mostro di Rostov, si perde più del 50% del gusto nel vedere il film. Quello che c’è di buono è senz altro l’interpretazione dei due attori protagonisti, in primis quella di McDowell, che riesce a calarsi quasi totalmente nei panni del vero mostro, Cikathilo ; nell’espressione, nel modo di fare goffo, impacciato, nella sua camminata particolare, nella postura, nello sguardo che spesso e volentieri sembra perso nel vuoto, ma che ha in sè un senso di maligno impossibile da dimenticare. La voce di Giancarlo Giannini è solo la ciliegine sulla torta di una interpretazione d’altrissimo livello. Buonissima anche la prova di Marton Csokas, il magistrato Lesiev, che insieme a McDowell danno vita alla scena più bella del film, con i due attori, che uno di fronte all’altro, si mettono letteralmente a nudo durante un interrogatorio.
Un film che non grida certo al capolavoro, che senza un background sul personaggio Cikathilo perderebbe parecchio del suo potenziale, ma che oltre alle già citate prove attoriali ci lancia bene il messaggio dell’aria di assoluta incertezza, smarrimento, e frustrazione in cui si trovasse l’Unione Sovietica di quei tempi, e dei personaggi che avrebbe generato, quei figli deviati che mancanti di una figura paterna e di un concetto sano di famiglia, si sono per anni aggrappati al comunismo per avere un nemico, un qualcuno con cui prendersela per quello che era stato loro portato via in tenera età, ma che sottolinea anche un altro fattore importante : Evilenko, alias Cikathilo, viene accusato di schizofrenia, una malattia mentale, altro argomento su cui il regime comunista tacque, un male che non voleva essere visto, un male che invece poteva essere intercettato, seguito, e curato, come avrebbero voluto fare americani e tedeschi che chiesero, prima che venisse giustiziato nella realtà, di poter avere in custodia il mostro Chikatilo per poterlo analizzare, studiare, curare. Ma nell’Unione Sovietica di allora non si poteva indagare così a fondo su queste cose, tutti dovevan oavere la mente lucida sui veri nemici del popolo, del partito, non sui serial killer. Perchè in Unione Sovietica non c’erano mostri, non c’erano serial killer, nessuno mangiava i bambini, si stava bene in Unione Sovietica. E molto ne furono convinti anche dopo la caduta del muro, ne sono convinti ancora, e nel film, basta guardare l’ultima, emblematica, stupenda scena, quella della moglie di Evilenko, per capire, o per cercare di capire, che per molti, allora ed ora, essere un compagno, essere comunista, più che una convinzione, era un qualcosa per tenersi disperatamente aggrappati alla vita, una vita che altrimenti, non avrebbe avuto alcun senso di essere vissuta.