Home recensioni drammatico Hostiles – La recensione

Hostiles – La recensione

Poco prima di essere congedato dopo una lunga e violenta carriera militare, il Capitano della Fanteria statunitense Joe Blocker è costretto ad accettare, nonostante le sue rimostranze, un’ultima missione.
Quella di scortare il capo Cheyenne Falco Giallo e la sua famiglia di nativi fino in Montana.
Un viaggio di duemila chilometri lungo l’impervia strada che taglia in due il continente americano.
Tra paesaggi mozzafiato e quel che rimane dell’ultima frontiera, la carovana s’imbatterà in una giovane donna da poco vedova dopo la cruenta e traumatica morte del marito e dei suoi tre figli per mano di una banda di ladri di cavalli Comanche.

Un viaggio nel cuore degli States alla scoperta della sua anima più violenta e selvaggia.

Christian Bale e Rosamund Pike (Gone Girl) sono i protagonisti di questo western 2.0 che si avvale tra gli altri anche di attori come Ben Foster (Quel Treno per Yuma) e Timothée Chalamet (ormai sulla cresta dell’onda dopo Call me by your name e Lady Bird).
Il regista Scott Cooper ambienta simbolicamente la sua nuova pellicola all’indomani del massacro di Wounded Knee, avvenuto nel lontano dicembre del 1890.
Evento chiave e culminate del genocidio dei nativi americani e che ha ispirato canzoni come Big Foot di Johnny Cash, American Ghost Dance dei Red Hot Chili Peppers e persino la nostrana Verdi Pascoli di Fabrizio De André.

Christian Bale

Sono anni difficili.
L’ America sta cambiando, si modernizza ma nella memoria collettiva del suo popolo rimane indelebile il ricordo e quell’attitude indiscriminatamente assassina e primitiva.
Non a caso il regista apre il suo film con la calzante citazione dello scrittore inglese D.H. Lawrence: Nella sua essenza, l’anima americana è dura, stoica e assassina. Finora non si è mai fusa.
L’interpretazione critica di Hostiles deve necessariamente partire proprio da questa riflessione.
La violenza di oggi è figlia del male di ieri.
L’opera quarta di Cooper rispetta quasi tutti gli stilemi del western fordiano, abbattendo però la consolidata formula del dualismo buoni/cattivi e/o cowboys/indiani.
Concentrandosi sulle singole personalità introflesse nei loro traumi postbellici e le intestine conflittualità etiche e morali.

Il regista non è nuovo a questo espediente, usato nel meraviglioso Crazy Heart dove Jeff Bridges interpretava il ruolo del cowboys del country, ma soprattutto nei western metropolitani Il fuoco della Vendetta e Black Mass.
Anche per Hostiles, Cooper diluisce i tempi e crea scompiglio nella narrazione, per ottenere quella sensazione fumosa ed allegorica che rimanda alle prime opere di un certo Malick, creando un film tanto imperfetto, quanto affascinante e ipnotico.
Il convoglio che dal Nuovo Messico si dirige mestamente, ma non senza pericoli, verso le terre del Montana.
Sembra voler simboleggiare l’intero organigramma socio culturale degli Stati Uniti d’America dopo il New Deal Obamiano, che si nutre di un falso volemose bene.
Ma che in realtà è ancora ghettizzato e armato fino ai denti.

Dopo due ore di dilemmi morali e granguignolesche sparatorie, i protagonisti o almeno una parte di loro arrivano a destinazione in un finale catartico e meno plumbeo.
Finale che sembra voler incoraggiare gli americani ad uscire dalla spirale di violenza insita nella natura statunitense, sin dalla nascita della Nazione di griffithiana memoria.

Prendendo in prestito proprio le parole di Johnny Cash:

Some had tried to run and hide,
But death showed no favorites
Women, men, and children died

One side called it a massacre
The other a victory
But the white flag is still waving.

 ARTICOLO A CURA DI GIUSEPPE SILIPO