I-Documentary of the Journalist (Giappone, 2019) di Tatsuya Mori rappresenta un’interessante denuncia nei confronti della censura giapponese.
Il documentario è uscito nel Paese del sol levante lo scorso anno, quando anche il controverso Shusenjo: The Main Battleground of the Comfort Women di Miki Dezaki è stato presentato al pubblico.
L’uscita contemporanea di più documentari non può di certo essere considerata una casualità. Sottolinea anzi il bisogno intrinseco di far uscire allo scoperto la verità, per quanto scomoda e poco edificante possa essere.
Non si pensi tuttavia che la censura sia un problema del XXI secolo. Già nel VI secolo a.C. Solone introdusse in Atene un controllo sulla possibilità di libera espressione, impedendo le maldicenze nei santuari, nelle aule giudiziarie e negli agoni. A Roma il poeta Nevio (c.a. 270-c.a. 200 a.C.) venne prima imprigionato e poi esiliato per aver attaccato la potente famiglia dei Metelli.
La lista potrebbe andare avanti all’infinito, passando per la censura dei libri e le revisioni cui vennero obbligate figure del calibro di Galileo Galilei o di Torquato Tasso – la cui Gerusalemme liberata fu sottoposta a pesanti censure morali –, fino al silenzio definitivo cui furono costretti i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Tanti i modi per mettere a tacere, ma due sole ragioni: la paura e l’ignoranza.
I-Documentary of the Journalist: ritratto dei media
I-Documentary of the Journalist segue la giornalista Isoko Mochizuki nel suo lavoro per il quotidiano “Tokyo Shimbun”. Qui, tra riprese a spalla e incursioni del regista nel video, il documentario indaga alcuni dei principali scandali che hanno coinvolto il governo nipponico, tra i quali l’accusa di stupro da parte della giornalista Shiori Itō nei confronti dell’ex cronista Noriyuki Yamaguchi, amico e biografo del primo ministro Shinzō Abe, e le proteste dei cittadini contro la base militare USA a Henoko, Okinawa.

Ciò che fa di I-Documentary of the Journalist un prezioso ritratto dei media contemporanei sta nelle convinzioni della giornalista Mochizuki.
In lei troviamo due elementi fondamentali: da una parte, un atteggiamento coerente dove l’interesse risiede nella verità dei fatti e non nell’amicizia di qualche “pezzo grosso” della politica giapponese; dall’altro, la ferma denuncia dei continui sabotaggi che lo staff del Capo di Gabinetto Yoshihide Suga oppone alla giornalista.
La censura oggi
Mochizuki non sarà uccisa né mandata in esilio; sono finiti i tempi in cui i politici rischiavano tanto pur di mettere a tacere gli oppositori. Eppure, le domande della giornalista verranno interrotte di continuo e limitate in numero di due, mentre le risposte ottenute non saranno pertinenti.
Questo atteggiamento ha un nome ben preciso: censura. Nient’altro che un modo cortese (leggasi: subdolo) per evitare che la verità diventi di pubblico dominio e uscirne, almeno all’apparenza, puliti.
Perché vale la pena guardarlo

I-Documentary of the Journalist è un documentario ben realizzato e, soprattutto, importante per il messaggio che vuole lasciare. Da ciò sono sorte in me due riflessioni: primo, il giornalismo dovrebbe restare il più possibile indipendente rispetto agli interessi della politica – obiettivo certo difficile da raggiungere quando la maggior parte delle testate è in mano ai più importanti gruppi industriali –, secondo, esistono molti modi per mettere a tacere le persone. Di questo dovremmo essere tutti consapevoli, anche quando non siamo giornalisti di professione.