Home Rubriche Outsider Caramel: la Beirut tutta al femminile dalla regista di Cafarnao

Caramel: la Beirut tutta al femminile dalla regista di Cafarnao

Beirut, Libano.
In un centro di bellezza, un po’ sgangherato, s’incrociano le vite, gli amori, le aspirazioni e i segreti di cinque donne.

C’è la bella Layale (l’attrice e regista Nadine Labaki), innamorata di Rabih, un uomo già sposato. La giovane musulmana Nisrine (Yasmine Al Massri), che ad un passo dal matrimonio è tormentata dalla prima notte di nozze, quando suo marito scoprirà che lei ha già perduto la verginità. Rose (Sihame Haddad), che ha sacrificato tutta la sua vita e la sua personale realizzazione per occuparsi di sua sorella maggiore. Rima (Joanna Moukarzel) che non riesce ad accettare la sua sessualità ed è attratta da una donna che settimanalmente viene a trovarla nel salone di bellezza. Jamale (Gisèle Aouad), ossessionata dall’avanzamento naturale dell’età. Tra messe in piega, meches, colpi di spazzola, manicure e dolci cerette al caramello, passano i giorni ma non i problemi.

S’incrociano le emozioni di un microcosmo emozionale fatte di donne in un paese dove da sempre la femminilità ha a che fare con arcaiche e anacronistiche tradizioni e anacronistiche.

Meraviglioso affresco dipinto nel 2007 dalla regista e sceneggiatrice libanese Nadine Labaki, Caramel è per certi versi una variante mediorientale di Almodovar. Dal regista spagnolo la Labaki prende in prestito l’approccio stilistico, toni e colori di una commedia tutta mediterranea. Ma soprattutto il film pone al centro la sensualità femminile frustrata, la necessità di emancipazione a fronte del machismo culturale, il costante sacrificio delle personali ambizioni umane e professionali.

A tratti la Labaki introduce, sempre con toni pacati ma decisi, i vincoli e le ingerenze religiose nella vita di tutti i giorni.

Proprio lei che nei primi anni ’90 dovette difendersi dalle pesanti polemiche dovute al suo video dell’allora esordiente cantante Carla, diventata in seguito una delle vj più famose del Libano.

Il titolo si riferisce a un metodo di depilazione comune in Medio Oriente che consiste nel riscaldamento di zucchero, acqua e succo di limone. Ma la Labaki sottintende simbolicamente l’idea del dolce e del salato nelle quotidiane e problematiche relazioni tra i personaggi. Croce e delizia di una donna abituata a conquistare i propri traguardi. Realizzarsi i una società complessa e frustrante dove però alla fine prevale sempre il sentimento di fratellanza e solidarietà umana. A conferma di ciò la dedica finale dell’autrice “à mon Beyrouth”, travolta, nove giorni dopo la fine delle riprese, dalla seconda guerra israelo-libanese.

Tutta la grazia registica e l’innata eleganza narrativa, di un’autrice che non tarderà a confermarsi nel panorama cinematografico internazionale grazie ai successivi E ora dove andiamo? (2011) e Cafarnao (2018).