Uno studente universitario compra un antico libro di botanica. Da quel momento, non casualmente, è vittima di una serie di inspiegabili ed inquietanti allucinazioni. Cerca di disfarsi del libro, ma in qualche modo esso torna sempre da lui, perseguitandolo. Il ragazzo chiede aiuto ad un amico, ma la situazione peggiora di giorno in giorno…
Dopo aver studiato cinema e aver girato qualche corto, nel 2013 il regista toscano Leonardo Pepi esordisce con un lungometraggio, “Fiori di Baal”. Pepi è anche l’attore protagonista e lo sceneggiatore dell’opera prima da lui diretta. La sceneggiatura è complessa e ambiziosa, in parte originale (e non è facile al giorno d’oggi esserlo) e discretamente coinvolgente. Si trattano argomenti legati alla botanica, alle leggende arcaiche e alla stregoneria.
C’è il tentativo di Pepi, lodevole ma solo parzialmente riuscito, di creare una tensione crescente in un’atmosfera da incubo. Un incubo ancestrale, che viene da lontano, e al quale sembra inutile opporsi. Il film si snoda su due realtà parallele, eppure coincidenti: quella della normalità, della canonica e regolare vita dello studente, e quella degli incubi e delle ricorrenti allucinazioni.
Le sequenze migliori sono quelle allucinatorie e notturne, dove il regista toscano riesce a ricreare una atmosfera orrorifica, misterica e “magicamente sospesa” di buono spessore. Nelle sequenze “giornaliere”, legate alla vita dello studente, invece spariscono magia e tensione, annacquate da troppi dialoghi e da un cast di basso livello, seppur volenteroso.
Gli effetti speciali, non moltissimi, e sicuramente artigianali, sono però apprezzabili, in quanto perfettamente funzionali alla storia. Non male nemmeno la fotografia, calda e avvolgente. Nonostante i non pochi difetti, dovuti anche all’esiguità del budget, “Fiori di Baal” è un’opera fortemente originale e con una personalità autonoma e non derivativa dai modelli cinematografici americani. E questo, scusate, non è poco. Anzi, è quasi una medaglia al valore.