Romanzo, manga, film: Battle Royale è diversi media, ma pur con le dovute differenze è senza meno figlio de Il signore delle mosche, e padre di The Hunger Games.
Prima di venire defenestrato per questa affermazione, una velocissima sinossi: un manipolo di ragazzi pescati a caso sono costretti dalla società adulta a uccidersi a vicenda, fino a che non ne resterà uno solo. C’è un’aria da reality show, c’è il sopravvissuto delle scorse edizioni che dà la dritta ai protagonisti, c’è il pazzo psicopatico che tutto sommatto ci sguazza ad ammazzare i coetanei…

Le maggiori similitudini si fermano qui, laddove, tolta la pellicola patinata e i budget stellari, Battle Royale è invece freddo e scarno. Resta quindi il massimo spazio per un trattato sulle natura umana e su come la più piccola inamicizia, rancore sentimentale, indole oscura esplodano al cadere di ogni infrastruttura sociale, o davanti all’ancestrale istinto di sopravvivenza.
Potrebbe sfuggirvi la potenza di Battle Royale, nascosta tra il pulp e la violenza estrema, o tra quei passaggi evidenziati col pennarrello troppo grande, ma dietro quell’eccesso -superato solo dal manga-, si nasconde un’aspra critica al sistema scolastico giapponese, riflesso in scala del lato più malvagio del capitalismo, con buona pace di valori e affetti.
Sintomatica la scena tra amiche di una vita, dove il seme del sospetto porterà a conseguenze terribili. Da vedere per riflettere, pur se a scoppio ritardato.