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Climax – La Recensione

Che piaccia o meno la postmodernità di Gaspar Noé trascina lo spettatore in territori ostili, lungo sentieri poco battuti “où personne n’est jamais allé”.

Come spesso accade il regista parte dalla fine. Una plongée, una ragazza che urla e si dimena sulla neve. Poi delle interviste ad un corpo di ballo. Ragazzi giovani eccitati dalla danza e dall’imminente tour in America. Lo spunto proviene da un episodio realmente accaduto in Francia a metà degli anni ’90. I ballerini parlano alla coreografa Selva (Sofia Boutella) e al Dj Daddy (il producer francese Kiddy Smile), del loro rapporto con la danza, con la famiglia e delle loro paure primordiali.

Intorno al tubo catodico ci sono alcune citazioni non scontate. Vecchie vhs, come Possession capolavoro di Andrzej Żuławski (principale fonte d’ispirazione per questo e per altri film di Noé). Quindi Faustrecht der Freiheit e Querelle di Rainer Werner Fassbinder (altro indiscusso idolo del regista franco argentino). Poi ancora Pasolini nel suo ultimo film Salò o le 120 giornate di Sodoma a cui Noè aveva già reso omaggio nella stanza di Murphy e di Electra nel precedente Love. Proprio in Salò Pasolini diceva:

«Non c’è niente di più contagioso del male».

Poi c’è anche Suspiria di Argento. Climax, nello stesso anno del remake di Guadagnino, fa sua l’ossatura narrativa del film e lo rielabora alla sua maniera. Quindi ancora citazioni con il saggio Suicide, mode d’emploi di Claude Guillon e Yves Le Bonniec.

Quindi inizia la storia e quel filo di narrazione necessario, più che altro funzionale. Mentre la giovane crew si appresta a passare la notte insieme, danzando e bevendo, qualcuno mette della droga (probabilmente LSD) nella sangria. Inizialmente i ragazzi ballano senza farci caso. I dialoghi intanto si fanno sempre più spinti e volgari, tanto da irrigidire anche il più strenuo difensore del politicamente scorretto. Ancora una lunga plongée, questa volta lunga e significativa.

La droga sta iniziando a scorrere nelle vene.

Ha inizio un fastidioso, disturbante crescendo lisergico che durerà tutta la notte. Le urla, la pazzia, la perdita di controllo e di inibizioni. Tutto perfetto per il cinema voyeuristico di Noé. Eppure il regista non ne vuole approfittare. Anzi si può dire che Climax è senza dubbio il suo film meno esplicito, più pudico. La mdp vola, si ribalta in cerca di dettagli e prospettive, (s)oggettive irreali, com’era accaduto anche nelle sue precedenti prove. La musica è una spada di bpm, mixata divinamente con l’ambientale. Nella playlist di Climax spunta una nuova canzone di Thomas Bangalter dei Daft Punk chiamata Sangria e altre due tracce What to Do e Rollin ‘and Scratchin della band francese. Quindi Windowlicker di Aphex Twin, Utopia – Me Giorgio di Giorgio Moroder, Tainted Love / Where Did Our Love Go dei Soft Cell, Supernature di Cerrone e altro ancora.

Noé è sempre New French Extremity (Claire Denis, Catherine Breillat, Leos Carax) ma questa volta il narcisismo estetico di Irréversible, di Enter the Void e di Love è meno respingente.

Esasperato dalla natura performativa della pellicola (le coreografie iniziali lasciano senza fiato), il suo cinema resta sempre una provocatoria speculazione intellettuale/visiva sul rapporto tra lo spettatore e l’immagine, ma i contenuti sono più a fuoco. Ancora la genitorialità (come in Love). Ancora una donna che scopre di aspettare un figlio (come per la Bellucci, come per la De la Huerta o per Klara Kristin). Intanto la paura e il delirio salgono e nelle stanze riecheggiano le urla della Adjani di Possession.

Dopo la bombardante techno e gli strazianti gemiti, giunti alla fine, partono le note di Angie dei The Rolling Stones. La resa dei conti per i ragazzi, dopo una notte assurda e orrorifica. Ma anche una chiosa melodica in cui lo spettatore riprende fiato.

Più Suspiria che Nymph()maniac, Climax è una danza electro-primordiale sullo stomaco che disturba e fa tanto male. Contenuto come un saggio di patologia umana, convulso come uno slasher movie.