Temple è un film horror del 2017. Vede al suo debutto alla regia Michael Barrett ed è scritto, invece, da Simon Barrett.
Simon Barrett, conosciuto oltre alla regia nel secondo capitolo di V/H/S, anche per il notevole contributo dato all’ottimo You’re Next, ci propone con Temple una storia insoddisfacente. Michael, come regista, dal canto suo, nel film presente sul catalogo Netflix si dimostra ovviamente, e umilmente, inesperto, pur mescolando nel giusto modo qualche elemento visivo.

In Giappone, un professore e il proprio interprete sono alle prese con un’investigazione nei riguardi di un uomo misterioso. L’uomo è ricoperto da alcune bende ed è sottoposto alla visione di alcuni video. Qui, gli vengono poste delle domande riguardo ai protagonisti dei filmati. E’ così che cominciano i suoi flashback.
Una studentessa universitaria di nome Kate (Natalia Warner) decide di fare un viaggio verso il Giappone. Con sé, porterà il suo innamorato James (Brandon Tyler Sklenar) e il suo amico di vecchia data, Chris (Logan Huffman). Sul posto, in un negozio, la ragazza si fisserà su un cantastorie scritto, dove noterà un ipnotico tempio.
Chris riuscirà a procurarsi l’oggetto, non messo in vendita dalla proprietaria, ma anche l’indirizzo del tempio. Nonostante siano messi in guardia dai passanti sulle voci riguardo a una ”maledizione” sul tempio, i tre non cambieranno il loro scopo: visitare il tempio.

Temple, diversamente da come può far ipotizzare la furba trama, non ha nulla a che vedere col fascino dell’horror di stampo prettamente giapponese. I Barrett ci pongono dinanzi a un bivio per tutta la durata del film: proseguire e vedere fin dove arriva oppure mettere via? Perché il desiderio di interrompere la visione del prodotto di Barrett è quasi automatico, ma durante un film è sempre doveroso arrivare alla fine.
Il tempo ci mostra come, nelle nostre ipotesi iniziali, avessimo assolutamente ragione. Temple è un inganno, un film nullo travestito da interessante e fresco horror. La trama è un quasi-cliché, la narrazione è piatta ed esente da emozioni. Lo scenario giapponese, affascinante coi suoi templi, le proprie leggende e le varie mostruosità, si ferma anch’esso a un punto di non ritorno.
I personaggi della vicenda non sono poco caratterizzati e freddamente interpretati: di più. Per tutto il proseguimento del film di Barrett, è quasi impossibile riuscire a comprendere l’identità dei protagonisti e, successivamente, ad affezionarsi. Nei momenti di pericolo è perciò improbabile che si possa provare una logica empatia nei confronti delle vittime. Il fascino orientale voleva essere portato dai Barrett in un prodotto nuovo e di diverso stampo, di diversa natura filmica. Le differenti culture così mescolate per dar vita alla curiosità e, dall’altra parte, al male difensore.
Negli ultimi quindici minuti di tempo, Temple vede prendere una svolta, o meglio, vedere avere finalmente, dopo tante pene patite dallo spettatore, il suo inizio. Ma, lo svolgimento tedioso, il gelo dei personaggi in vista, la mancanza di suspense o minima atmosfera di trepidazione, rendono Temple un qualcosa di mal riuscito, inappagante e vacuo. Neppure l’epilogo, dai risvolti più psicologici (inaspettati, inspiegabili e quasi comici) riesce a dare un senso alla propria realizzazione.
Perché, neppure i Barrett avevano, sfortunatamente, le idee chiare per propinare al pubblico un prodotto di tale sfortunata passività.