Andrea Di Stefano dimostra del mestiere nella sua prima regia con questo Escobar – Paradise Lost; specialmente la prima parte del film getta le basi per una storia intrigante, una storia fondamentalmente d’amore tra Nick (il tizio di Hunger Games), giovane canadese con l’idea naive di andare in Colombia col fratellone e vivere tranquillo, e Maria, che il caso vuole sia la nipote di Pablo Escobar.
Proprio quel Pablo Escobar, boss del cartello colombiano di Medellin che all’apice della sua carriera arrivò a un patrimonio di circa 30 miliardi di dollari: roba da finire sul Forbes (true story).
Ma Paradise Lost diventa velocemente il film di Benicio del Toro, davvero perfettot nella parte, i cui sguardi, gesti, parole dipingono un uomo che toglieva vite con la stessa semplicità con cui raccontava fiabe ai nipotini.
Non è un caso che in copertina vediate la faccia di Escobar e non del protagonista Nick: è il narcotrafficante a tenere in piedi il film, e sebbene il personaggio del giovane canadese finito suo malgrado all’inferno abbia del potenziale, ci pensa presto il tizio di Hunger Games a de-potenziarlo una espressività decisamente non adeguata.
Dopo una prima parte, flashback ben congeniato, si va su uno svolgimento classico e abbastanza prevedibile, in cui tante ne succedono a Nick, ma poco importa: aspetterete con ansia che Del Toro/Escobar torni con le sue movenze, i suoi deliri di onnipotenza, le sue manie.
Un film che merita la visione e, qualora ne vogliate di più di un personaggio nel bene e nel male affascinante, c’è sempre Netflix..