Io amo Christopher Doyle. Voglio mettere in chiaro subito questa cosa. Probabilmente non tutti sanno chi sia, ne son consapevole. Christopher Doyle è un direttore della fotografia australiano-cinese che lavora principalmente nel cinema di lingua cinese. Ha collaborato con Wong Kar-wai in molti dei suoi capolavori (come In the Mood for Love, 2046 e Ashes of Time ma non solo) e, nel 2002, con un altro colosso del cinema cinese: Zhang Yimou. Il risultato di questa unione è uno dei film visivamente più potenti di sempre, con dei colori estremamente accesi e belli da commuovere, ovvero Hero. Questo film è la riprova del fatto che i colossal moderni non devono essere necessariamente rimpinzati di effetti speciali non sempre di ottima fattura, con protagonisti dalla caratterizzazione profonda quanto una pozzanghera e trame al limite del ridicolo. La sublimazione della poetica del wuxiapian (il tipico genere cinematografico cinese con storie in costume e ricche di combattimenti all’arma bianca dalle acrobazie irrealistiche), la perfetta traduzione su cellulosa dell’idea di “bellezza”, un’opera sull’eroismo, sulla verità e sull’ambiguità della realtà.
Siamo in Cina, nel “periodo dei Regni Combattenti”, in cui il territorio che poi sarebbe diventato lo stato cinese era diviso in sette regni che combattevano per la supremazia. Senza Nome (Jet Li) viene invitato a bere un tè con il re di Qin, stato che prevarrà sugli altri, in quanto è riuscito ad eliminare i tre assassini più pericolosi dei sette regni (Spada Spezzata, interpretato da Tony Leung, Neve che Vola, Maggie Cheung, e Cielo, Donnie Yen) , uno dei quali, tre anni prima, è stato vicinissimo all’uccidere il re stesso. Senza Nome è chiamato a raccontare come sia riuscito, da solo, a eliminare i tre combattenti più letali del territorio cinese. Ma, si sa, la verità non è sempre quella che sembra o quella che ci viene detta.
La narrazione si affida ai flashback, che costituiscono i tasselli meravigliosi, dai colori devastanti che colpiscono come uno tsunami lo spettatore, di un puzzle più grande chiamato “realtà”. Tra menzogne e verità distorte, lo spettatore si ritrova confuso, fatica a ricostruire quel puzzle. Le versioni della storia che ci vengono mostrate differiscono le une dalle altre non solo nel puro aspetto narrativo ma anche visivo: quadri monocromatici potentissimi si susseguono in questa poesia visiva, prima il rosso del racconto di Senza Nome, poi il blu del racconto del re (non convinto della storia del guerriero), il bianco e il marroncino del flashback di Senza Nome e, infine, il verde del flashback di Spada Spezzato, che ricorda del giorno in cui ha avuto la possibilità di uccidere il re di Qin. Tutti gli attori sono fenomenali, soprattutto il fantastico Tony Leung e la divina Maggie Cheung, e si calano alla perfezione nel ruolo di spadaccini formidabili capaci di eseguire acrobazie inumane, quasi come se fossero dei supereroi.
Eroi… cos’è un eroe? Chi si pone un obiettivo e riesce a portarlo a termine per il bene di tanti o chi, ad un passo dal realizzare il proprio piano, ha la forza di cambiare idea per il bene di tutti? Questo è il punto cardine attorno al quale ruota il film, arricchito anche dall’ambiguità dei personaggi che, pur sembrando estremamente diversi gli uni dagli altri, in fondo non sono altro che facce diverse di una stessa medaglia dai molteplici lati: tutti con un obiettivo che prevede sacrifici, ognuno con i propri dubbi e le proprie certezze, tutti con le mani sporche di sangue ma consapevoli del fatto che, quale che sia il proprio scopo, la morte sia una compagna di viaggio della quale non ci si può liberare. La realtà si piega sotto i colpi del proprio volere e delle proprie paranoie, l’oggettività si perde tra le mirabolanti coreografie tanto che lo spettatore, anche quando viene posto di fronte alla verità, non può non dubitarne, non riesce ad accettarla passivamente, senza una punta di incertezza.
La regia di Yimou è elegante e maestosa come la natura che circonda costantemente i personaggi e distorce il tempo, dilatandolo al punto di far durare interi combattimenti quanto la caduta di una goccia di pioggia sul suolo. La macchina da presa non esplora lo spazio ma se ne distacca, con l’uso di frequenti campi lunghi e lunghissimi, lo descrive senza immergersi in esso: i paesaggi mozzafiato della Cina incontaminata e libera dal delirio distruttivo dell’uomo diventano semplicemente dei meravigliosi fondali che assistono impotenti all’ambigua storia di Senza Nome, Spada Spezzata, Neve Che Vola e tutti gli altri personaggi di contorno che, pur avendo un’importanza secondaria o terziaria, restano comunque impressi nella mente, come il vecchio cieco alla casa da gioco in cui assistiamo al primo combattimento del film, quello tra Senza Nome e Cielo; o come il “direttore” della scuola di calligrafia, così minuto e all’apparenza fragile ma così forte e determinato, fedele fino in fondo alla propria ragione di vita, alla sua filosofia basata sull’arte della calligrafia: “Non è importante, per noi, quanto crudeli siano le loro frecce e se possono mandare in frantumi il nostro regno. Ma non annienteranno mai la nostra cultura”. Signore e signori, questo è il perfetto esempio di personaggio secondario ma fondamentale, vettore di un pensiero profondo pur apparendo per pochissimo tempo sullo schermo.
La fotografia di Doyle è quanto di più raffinato ci si possa aspettare e capace di adattarsi alla situazione, riuscendo ad essere cruda nei momenti più drammatici e significativi ma anche quasi sognante e surreale, come nello scontro immaginario tra Spada Spezzata e Senza Nome. Il lavoro del sino-australiano rende Hero uno dei film meglio fotografati degli anni 2000. Un film che riuscirà a conquistarvi sin dalla primissima visione e che conquisterà il vostro cuore con uno dei finali più belli e commoventi degli ultimi trent’anni.